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      Viaggio ai confini della realtà (e della comfort zone)

      Viaggio ai confini della realtà (e della comfort zone)

      Ci sono 23 filippine e 2 italiane in viaggio a Marrakech.

      Questo potrebbe essere l’inizio di una barzelletta, e invece è l’inizio di questo post in cui vi spiego perché ho deciso di partecipare a un retreat creativo, e cosa è successo prima, durante e dopo…

      Qualche mese fa ho trovato sulla pagina FB di una coach che seguo da qualche tempo l’annuncio di un retreat che stava organizzando per febbraio, in Marocco. Arriane Serafico è una Brand&Digital Strategist. In pratica lavora con donne che hanno grandi idee creative ma non sanno come trasformarle in prodotti tangibili o servizi che le persone possano comprendere, acquistare, condividere. Mi piaceva l’idea di fare un retreat, mi piaceva l’idea di farlo con lei, e mi piaceva l’idea di invitare anche una amica e collega, Veronica. Perciò abbiamo acquistato il pacchetto, il volo, e abbiamo aspettato entusiaste il 18 febbraio.

      Quando il conto del pacchetto ci è arrivato in pesos filippini, sì, avremmo dovuto porci qualche domande… Ma abbiamo preferito far finta di nulla.

       

      I MOTIVI CHE MI HANNO SPINTA A ISCRIVERMI AL RETREAT

      1. Arriane: sono iscritta alla sua newsletter, e ho partecipato a un paio di suoi webinar gratuiti, che ho trovato molto interessanti; in più lei è molto giovane ma ha un bel gruppo di follower e organizza un sacco di corsi; questa cosa mi incuriosiva e avevo voglia di imparare da qualcuno che ritenevo più avanti di me;
      2. Marrakech era una delle mete papabili per un viaggio che volevo fare a Natale, e a cui poi avevo rinunciato; il fatto che il retreat fosse lì l’ho interpretato come un segno del destino;
      3. Il prezzo veramente conveniente rispetto a quello di altri retreat che prevedono delle quote di iscrizione astronomiche (e a volte ingiustificate, a mio parere).

      COME MI SONO PREPARATA AL RETREAT

      In nessun modo. Solo a pochi giorni dalla partenza mi sono limitata a googlare informazioni piuttosto basiche tipo – che valuta ha il Marocco?

      E poi, io e Veronica siamo amiche. Lavoriamo anche a qualche progetto insieme. Ma siamo praticamente come il giorno e la notte. Lei è un’estroversa. Io sono un’introversa. Lei dice che gli introversi sono i nuovi vegani. Io non mi offendo e le voglio bene lo stesso. Io sto spesso zitta. Lei parla molto. Ma soprattutto, non abbiamo mai viaggiato insieme. La formula per un disastro? Per me no. E chiamatemi pure incosciente, che tanto so di esserlo.

       

      COSA E’ SUCCESSO AL RETREAT

      Al nostro arrivo a Marrakech abbiamo mollato i nostri bagagli e iniziato a esplorare i dintorni del nostro riad. Il souk ha subito messo in evidenza l’approccio diametralmente opposto che un’estroversa e un’introversa hanno alla vita. Io (l’introversa) sono abituata a non guardare la gente negli occhi, e quindi camminavo senza prestare attenzione a nessuno, senza farmi fermare, senza farmi trascinare all’interno dei negozi. Lei (l’estroversa) era sovraeccitata dagli stimoli esterni: gente che ti saluta, che ti domanda come stai e da dove vieni, che ti indica dove andare anche se tu non lo chiedi. Dopo cinque minuti nel souk io mi sono limitata a dire – al prossimo che mi parla gli spacco la faccia; lei non riusciva più a capire a chi doveva dare retta. Dal mio punto di vista, introversi 1 – estreoversi 0. In Marocco non prestare attenzione alla gente non è un atto di maleducazione, ma una tecnica di sopravvivenza.

      L'introversa e l'estroversa

      L’introversa e l’estroversa

      Di ritorno al riad abbiamo iniziato a incrociare le prime partecipanti al retreat. E a nutrire i primi sospetti. A cena abbiamo scoperto che eravamo le uniche due italiane in mezzo a un gruppo di 23 filippine. In Marocco.

      Mikka di Seek The Uniq (che ha organizzato insieme ad Arianne il retreat) mi ha confessato che quando ha ricevuto la mail in cui le chiedevo informazioni e le dicevo che volevo iscrivermi, è andata nel panico. Ha iniziato a domandarsi se un’italiana avrebbe apprezzato l’organizzazione, se sarebbe stata soddisfatta del retreat, e soprattutto – come cavolo aveva fatto a sapere di questa iniziativa?! Potere del web!

      Workshop

      Inizia il workshop (con il quaderno made by #tepapercoach)

      Il secondo giorno in Marocco è iniziato con il primo workshop di Design Thinking con Arriane. E si è chiuso con la serata più assurda della mia vita. Ma anche con la consapevolezza che per tutta la settimana non avrei mai più visto i confini della mia comfort zone, perché mi ci sarei allontanata per migliaia di km.

      A cena abbiamo raggiunto un gruppo che era andato alla Spa del Resort Amanjena, e qui, nell’ordine:

      1. al cancello un tizio ha passato il metal detector sotto al nostro van;
      2. all’ingresso siamo state accolte da un tizio vestito da Jedi. Giuro;
      3. siamo andate a mangiare in un ristorante giapponese dove ci hanno portato come amuse bouche un quadratino di tofu fritto;
      4. due ragazzi marocchini hanno intonato Get Lucky dei Daft Punk con le chitarre classiche;
      5. mentre cenavamo, i simil mariachi marocchini hanno ampliato il loro repertorio internazionale arrivando a suonare Nel blu dipinto di blu;
      6. un gruppo di turisti taiwanesi ha iniziato a fare il trenino. Il trenino più bizzarro che io abbia visto (e se non ci credete sul mio profilo Facebook ci sono le prove filmate).

      Terzo giorno, gita a Essaouira. Meno di 200 km di distanza da Marrakech, che abbiamo percorso in tipo 4 ore. A un certo punto il nostro pulmino si ferma in mezzo al nulla per permetterci di ammirare un gruppo di capre sopra un albero. Valerie, che è filippina ma vive a Zurigo, tira fuori il suo pragmatismo elvetico e spiega a tutte che le capre mica salgono sugli alberi! E che ce le mettono i proprietari perché così i turisti si fermano a fare le foto e li pagano. Le altre ragazze se ne battono altamente e corrono felici verso l’albero con le capre. Scatta il momento set fotografico, con Joy che mette in posa tutti, capre comprese, per aggiudicarsi gli scatti migliori. Io e Veronica – che si occupa di Digital Marketing e che vive in Svizzera pure lei – le guardiamo divertite. Qualche ora dopo finiremo a parlare della validità del modello di business degli allevatori di capre che le posizionano strategicamente sui rami più alti degli alberi per attirare i turisti.

      Set fotografico

      Tutti pazzi per le capre sugli alberi

      Tornate al riad siamo troppo stanche per uscire e prendiamo da mangiare al take away. Quando vedo la pasta ordinata dalle ragazze filippine capisco qual è la mia missione nella vita (o almeno in questo retreat). Cucinare per tutte una carbonara comediocomanda. Praticamente divento un’eroina, ma poi inizio a domandarmi dove cavolo posso trovare del guanciale a Marrakech…

      Ultimo giorno, ultimo workshop, e poi io e Veronica partiamo alla ricerca di un supermercato per fare la spesa per la cena italiana con le 23 filippine. Spirito di sopravvivenza a mille. Ed ecco cosa è successo:

      1. Proviamo l’ebrezza di entrare in un supermercato di un paese a maggioranza musulmana e di comprare otto pacchetti di pancetta affumicata;
      2. Prendiamo un taxi al volo perché piove (sì, ha anche piovuto) e non mi metto a fare la trattativa di rito sul prezzo della corsa; anzi, dico a Veronica – non stiamo a sindacare, che piove. Poi il taxista mi dice che la corsa ci costerà 150 dirham (esattamente il triplo di quanto abbiamo pagato all’andata) e io prima gli dico di fermarsi, poi visto che non lo fa parto con una filippica di un quarto d’ora. Alla fine gli dò 57 dirham e Veronica commenta con un – per fortuna che non dovevi sindacare;
      3.  A Veronica nel frattempo è venuta la febbre; forse per la quantità di situazioni assurde a cui siamo state esposte in questi giorni;
      4. Io scendo in cucina e scopro che funzionano solo 2 fornelli su 6 (uno dei quali a misura di bollitore del latte); me ne serve almeno un altro, quindi la pancetta la friggo direttamente sulla bombola del gas;
      5. Metto su due pentoloni d’acqua misurando totalmente a caso il sale (e azzeccandone perfettamente la quantità), sbatto 18 uova e le mescolo a 2,5 kg di pasta con due forchettoni improbabili che si piegano ogni due secondi sotto al peso degli spaghetti;
      6. Servo una carbonara pressoché perfetta, con la pasta al dente, a 23 filippine e a un brasiliano residente a Zurigo;
      7. Valanga di complimenti, ma quello che mi ha fatto capire di essere praticamente un mito è che due delle filippine, che nella vita fanno le modelle e le influencer, fanno il bis;
      8. Dopo tanta fatica mi godo una vera carbonara accompagnata da simil-involtini primavera marocchini e nachos piccanti; e capisco che se le cose con il mio lavoro dovessero andarmi male ho già un posto da chef in un ristorante di Manila che chiameremo “Just carbonara”.
      Cerbonara

      Carbonara, mission accomplished

       

      COSA MI HA INSEGNATO QUESTO RETREAT

      Non è che non avessi delle aspettative quando sono partita. Ma quello che ho trovato al retreat a Marrakech era così lontano da quello che mi ero immaginata, che forse l’ho apprezzato ancora di più. Pensavo che avrei seguito dei workshop interessanti e invece:

      1. ho seguito dei workshop interessanti, ma molto più brevi e meno intensi di quello che immaginavo; questo mi ha fatto capire che per imparare cose nuove non è sempre necessario ammazzarsi di lavoro, china sui libri; a volte è sufficiente uscire dall’aula e osservare il mondo che ci circonda;
      2. in filippino “oh oh” significa sì; fino a che non lo capite vivete in uno stato di ansia perenne in cui, a ogni “oh oh”, continuate a chiedervi che cosa cavolo sta succedendo;
      3. il design thinking è una figata; sì lo sapevo già, ma ne ho avuto la conferma;
      4. probabilmente la prima idea geniale che vi viene per risolvere un problema, non è poi così geniale. Se avete il coraggio di metterla da parte e ricominciare a scavare, troverete davvero un tesoro;
      5. le donne, in tutto il mondo, hanno tutte gli stessi problemi, le stesse paure, le stesse insicurezza. Non importa da che cultura provieni, che livello di istruzione hai, quali esperienze hai fatto;
      6. più ti circondi di persone diverse da te più probabilmente ti sentirai a disagio; ma una volta fatta l’abitudine scoprirai cose meravigliose. Su di te e su di loro.

      Insomma, se volete andare a un retreat andateci con la mente aperta. Anzi, spalancata. Imparerete molto più di quello che immaginate. E potreste ritrovarvi con 23 nuove amiche. Filippine.

      Avrei potuto parlarvi di cosa ho imparato durante i workshop; di quali sono gli step del design thinking e di come si fa una foto con l’effetto Rembrandt (sì ho fatto anche un workshop di fotografia). Ma di questo forse vi parlerò un’altra volta. Mi premeva condividere l’assurdità in cui sono stata immersa per una settimana, perché sicuramente tra le righe saprete cogliere qualche consiglio valido anche per voi. E se non è così almeno qualche risata ve la sarete fatta, no?!

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